domenica, settembre 22, 2013

La giusta misura

Vorrei cancellarmi da Facebook, per tanti motivi ma soprattutto perché i rapporti tra le persone che lo frequentano usano un materiale malato e fragile per cementarsi: il successo.
Il fatto compiuto.
A differenza del blog, dove posso sbrodolare e nuotare nel fango dell'impasse e dell'insicurezza, su Facebook pare che per stare al gioco si debba mostrare sempre il proprio lato migliore, quello brillante, sensibile, attento, di buon gusto, creativo, artistico, propositivo. 
Se da una parte è certamente stimolante, e ti spinge a fare sempre di più, sempre meglio, a vedere sempre la parte buona della tua vita, la giusta angolazione del sole sui biscotti della colazione, dall'altra quest'ansia di mostrarsi sempre attivi e concludenti la trovo una perdita di profondità. 
Ironico, e molto triste, a dirsi: la dimensione del social network ha poco o nulla a che vedere con il sociale, perché non contempla la debolezza e la negatività che sono proprie delle persone. 
Gli sfoghi occasionali sono spesso generici e indirizzati a nessuno in particolare, per paura di fare nomi e cognomi, visto che il più delle volte l'oggetto della nostra rabbia fa parte delle nostre "amicizie". Per questo anche l'urlo, la frustrazione, hanno l'aroma del bucato appena steso che sbatacchia alla brezza leggera, invece di quello di una trapunta trascinata nel fango da un uragano, come sarebbe più sano, più liberatorio. 
Ecco, su Facebook non c'è niente di liberatorio. 
Non vedo nessuna rottura degli argini, non c'è passione, non sento cuori sanguinanti pulsarmi nelle mani, né profumi: perché c'è solo il buono, che senza la sua controparte, il suo pauroso contrario, risulta falso, raffazzonato. Che cosa sono centinaia di biscotti da forno senza che nessuno di loro abbia il fondo bruciato? Un pacchetto del supermercato. 
Io su Facebook ho anche una pagina fan.
La uso per segnalare le presentazioni dei miei libri, per pubblicizzare l'atelier di scrittura che organizzo in libreria, e i laboratori di narrazione per bambini. 
Poi per mettere le foto di me sorridente quasi sempre coi capelli spettinati che parlo con i lettori e firmo i libri, e perché? Non lo so. 
Per fare vedere che sono brava, forse. Che so fare qualcosa. Che la mia carriera di scrittrice è viva e vegeta, nonostante il mio nuovo manoscritto mi stia tirando fuori un gorgo di schifi e pensieri torbidi da cacciar fuori, e dubbi, e paure da esorcizzare; nonostante non abbia un soldo nel portafoglio.
Perché non sono in grado di raccontarlo, questo, su Facebook?
La paura della pagina bianca. L'ansia dell'inverno che arriva e c'è di nuovo da pagare il riscaldamento. Gli incubi che ti stringono il petto la notte e le notti insonni a pulire il lavello, a far andare la macchina del caffè, a leggere libri e a provarne a capire gli incastri di trama, per trarne spunti e ispirazioni tra le lacrime di impotenza e autodistruzione. 
Perché su Facebook, di voi, leggo solo le corse registrate sulle tabelle di marcia, i panorami idilliaci, le rassicurazioni che ogni giorno sono necessarie per tirare avanti? Perché non trovo il sudore sotto le ascelle, le sterpaglie nei giardini, l'autocritica sincera? 
Perché c'è un gran bisogno di speranza.
E io credo, dal fondo del fondo della ricerca che sto facendo su me stessa, dal cuore di questo percorso enorme che ho deciso di intraprendere, che la speranza non nasca dal nascondere. La speranza nasce -suppongo, intravedo - da una sincerità brutale con se stessi. 
Su Facebook vedo solo veli, solo abissi nascosti da prati in fiore, come diceva Stephen King. 
E in questo momento di voglia e bisogno di grande sincerità, non ne sento proprio la necessità, di trabocchetti e veli.
Allora ho deciso che invece di costringermi nel vestito buono degli status, nel lamé dei successi e nei guantini a mezza manica delle rassicurazioni, ho voglia di sbracarmi alla grande, in sandali e pantalonazzi con le padelle, scamiciati lunghi fino ai piedi della scrittura libera, della vita libera, qui sul mio blog e nel mio nuovo libro. Perché voglio tutto, come sempre: sono una che mangia dolce e salato, balla la salsa e poga sui Violent Femmes, piange e ride anche nello stesso momento, e mai si accontenta di una sola dimensione, e meno che mai di quella ipocrita e compiaciuta delle amicizie per farsi vedere, di quella del farsi a tutti i costi piacere. 
Non sarà un viaggio sempre positivo, sempre divertente. Ma se avete voglia di seguirmi, di confrontarvi, di avere uno scambio con me, vi toccherà leggermi per più dei cinque secondi richiesti da uno status. 
Se vi va, ci vediamo su queste pagine.
Che verranno regolarmente linkate su Facebook, naturalmente. 


(la bellissima immagine è "World Wide Trap", di BLU)

2 commenti:

Manuela Vitulli ha detto...

sono perfettamente d'accordo con te. Facebook sta diventando MALATO.
Pensa che ultimamente gente che non avevo tra gli amici ha usato info ricavate da facebook per gettare fango su di me.. -.-
Amarezza

Choppa ha detto...

Mi dispiace molto, sono sicura che esporsi e condividere sono azioni che non hanno niente a che fare con l'intento del social network