Sarei curiosa di vedere il mondo ammantato di una nube di scarafaggi da day after.
Questo blog è partito con un mucchio di post allegri e vitali e ironici, ed è cresciuto con me attraverso sofferenze più o meno grosse e più o meno importanti, dall'assenza del paio di calzini puliti a quella del compagno di vita a quella del lavoro e della gioia di vivere, ed è arrivato qui che adesso ho già 26 anni e son diversa da quando ho cominciato, sette anni fa.
Ormai.
Comunque posso dire che il mondo è andato sempre peggiorando, e io migliorando, e adesso che siamo alla fusione del nocciolo e alla possibile strage nucleare, ecco che io sono in una delle fasi più felici della mia vita.
Sarà un caso?
7 commenti:
Tempo fa ti chiedevi se per scrivere si doveva per forza non essere felici (non lo dicevi proprio così!!!).
Come va ora con la scrittura?
Non è un bell'argomento e un bel motore la felicità?
Un abbraccio
Zia Yoghi
Macchè. Son ferma! Non scrivo niente da un sacco di tempo: ecco la conferma che per scrivere bisogna essere infelici.
E'solo che devi imparare a scrivere diversamente. Non c'entra niente l'infelicità con la scrittura, anzi. e' una trasformazione pure quella.Io mi sono iscritta al corso anche per questo motivo, e devo dire che sto veramente capendo tante cose grazie ai miei insegnanti.Tra queste, appunto, che quando si è felici si scrive meglio (si fa tutto meglio) e che la scrittura è un'arte che come le altre ha bisogno di conoscenza, regole, esperienza, fatica, impegno etc. Tutte cose che si fanno meglio quando si sta bene.;-))
Per me la scrittura, proprio essendo un'arte, richiede sì impegno, regole e fatica, ma anche una profondità che viene, se non proprio da un'infelicità o un dolore estemporanei, almeno vissuti in passato. Per scrivere bene, cantare bene, dipingere bene penso che ci si debba buttare nella vita e lasciarsi graffiare, se no quello che viene fuori è solo anima imbrigliata nelle regole. Credo, eh!
Sì, buttarsi nella vita certo, ma saper gestire la vita anche. Altrimenti sarebbe come dire che per diventare bravi scrittori bisogna essere incapaci a vivere. Il che non è vero.
Io penso che proprio noi buddisti dobbiamo impegnarci molto per cancellare lo stereotipo dell'artista infelice e diffondere invece quello dell'uomo (o donna) felice, realizzato, pieno di umanità e di valore che ha saputo portare tutto questo anche nella scrittura. ;-))
Sì sono d'accordissimo, il punto è che per me vivere la vita significa anche non avere paura del dolore, non rinnegarlo né infossarlo per non vederlo; per me vivere significa prendere atto sia della felicità che dell'infelicità, e scrivere significa saper raccontare entrambe le cose.
E poi, sono empirica, quindi penso che per raccontarle bisogna averle vissute!
Attraverso la scrittura spero di poter raggiungere la felicità, che è poi il principio della catarsi. Per ora questo avviene soprattutto col buddismo, però!
;-)))
Riuscirai a fare entrambe le cose, ne sono certa.
Anzi, RIUSCIREMO a fare entrambe le cose, perché in tutto questo calderone di dubbi mi ci metto dentro anch'io! ;-))
Bacio!
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