lunedì, dicembre 06, 2010

Il Rosso e il Meow

Ci sono due antefatti:
1) sto rileggendo "Le ceneri di Angela", il che non è mai un buon segno perché, per chi non lo sapesse, si tratta dello straziante resoconto in prima persona di un'infanzia irlandese a cavallo tra gli anni 30 e 40, una roba che alla fine capisci esattamente cosa dev'essere la miseria, non avere neanche una coperta né un pezzo di sapone, né niente da mangiare ma proprio niente niente, per chi non lo sapesse (tipo me, che mi lamento della muffa sui muri della cucina, per dire).

2) Il mio giardino è praticamente un ferro di cavallo quadrato che vede nel lato più lungo una spessa aiuola in preda alle erbacce (una volta vantava piantagioni di rose, pomodori e zucchine, e com'era bello quando nascevano i fiori verdi e arancioni e la mamma li cucinava fritti, ah, l'infanzia ricca lontana dall'Irlanda e dagli anni 40, che figata), e l'estremità dei lati più corti è delimitata da due cancelli che danno sulla strada principale del paese. Dalle sette e mezza del mattino alle due del pomeriggio è un infinito susseguirsi di tir e vespe e trattori e smart e suv e corriere che smarmittano e strombazzano cingolando sulle catene obbligatorie.
Poi c'è una pausa fino alle quattro in cui tutti mangiano o si riposano o guardano "Uomini e donne"; allora si può anche attraversare la strada di sghimbescio senza preoccuparsi delle strisce, andando lenti lenti e godendosi il silenzio ancestrale che permea tutto il paesino come liquido amniotico un bebè. Alle quattro e mezza tutto ricomincia perché suonano le campanelle e chiudono gli uffici, perciò ecco che la strada torna a popolarsi di pulmini, monovolume, panda, mini minor, polo rosa con la faccia di Hello Kitty sulle portiere e autobus ribollenti di studenti sfiancati. Il traffico il fumo il rumore durano fino alle otto e mezza circa, quando passa l'ultima corriera a ributtare avanzi semi digeriti di pendolari con l'orario massacrante.
Dopo, ci sono solo schegge impazzite che si gettano a razzo verso i piaceri proibiti della grande città, ma sono casi rari, isolati. I più se ne restano incappucciati sotto il plaid a dimenticare l'indomani davanti a una puntata del commissario Montalbano, e la strada dorme silenziosa fino alle sette e mezza del mattino, quando tutto ricomincia.

E ora, veniamo al fatto.
Nel giardino di casa mia si aggira un gatto rosso.
Non è un randagio, uno di quei soldati con un quarto d'orecchio, gli occhi guerci e la coda a metà; è tondo, col pelo folto e ben curato, tranquillo.
Deve venire dalla casa dei dirimpettai, perché a volte l'ho visto scavalcare il loro balcone, fermarsi placido nel loro giardino come se fosse roba sua, e poi perché assomiglia un sacco al mio tondo e folto dirimpettaio.
Quando riesce ad arrivare nel mio giardino, si nasconde sotto la tela cerata che ricopre il motorino del Babbuddha. Resta lì un pochino a lavarsi le zampe e la coda, poi gironzola per l'aiuola fiutando le sterpaglie e mangiando la pianta gigante di erba limoncina.
Se mi scordo di chiudere la finestra della mia camera, che si affaccia proprio sul giardino, la Prisci sale sul davanzale, si accorge del gatto rosso e comincia uno spettacolo che non so se definire desolante o commovente. Prende a strusciarsi contro il muro, inarcando la schiena e arruffando il pelo, gonfiandosi come zucchero filato, miagolando come se dovesse farsi uscire un pulcino dalla gola, gli occhi fissi sul suo simile felino.
Che se ne frega.
Lui la guarda un po', resta a fissare la Prisci indemoniata con aria impassibile, tira fuori la limetta per unghie e inarcando un sopracciglio dice "beh?" e se ne torna nel suo giardino.
La Prisci vorrebbe incontrarlo, lo so.
Appena lo vede, corre a miagolare davanti alla porta di casa appendendosi alla maniglia, e tutto -il miagolio, le orecchie, il piccolo corpo peloso- supplica di lasciarla uscire e incontrare il rosso.
Io non so che fare.
Ho paura che possano azzuffarsi, o scappare insieme.
Finire oltre il cancello e spiaccicarsi sulla strada sotto le gomme termiche di una smart.
Arrampicarsi su un albero e non riuscire a tornare giù.
Decidere di restare uniti per sempre e abbandonarmi.
Il cuore indebolito dalle storie dei poveri bimbi di Limerick, vorrei aprire il portone e lasciare uscire, libera, la Prisci: darle la possibilità di scegliere il proprio destino, vedere cosa farebbe se, osservare le reazioni come un'inviata di Richard Attenborough.
Non so che fare. Se magnanimamente promuovere un possibile amore o malvagiamente impedirlo non girando la chiave nella toppa.
E se fossi io, nella sua situazione? Se solo una serratura e un gatto grossissimo fossero di ostacolo alla mia felicità? Che farei, odierei il gatto despota che mi tiene rinchiusa? Salirei sul davanzale ogni mattina per vedere il mio bel rosso? Me ne farei una ragione?
Almeno non avrei più la tentazione di leggere Frank McCourt e le sue storie di febbri tisiche, così il cuore mi s'indurirebbe e i problemi morali, per un gatto rosso sconosciuto, non me li porrei tout court.







2 commenti:

daniela ha detto...

Non lasciarla libera Marta. Non è crudeltà, anche se può sembrare tale, ma le ipotesi che hai ventilato -purtroppo- sono tutte molto probabili.
Potrebbe distrarsi a tal punto da finire sotto una macchina, potrebbe (e questo direi è quasi certo) accapigliarsi col gattone e rimanere ferita e se il gattone non è vaccinato anche contrarre qualche Fil o Felv o robaccia del genere. Potrebbero inseguirsi e non badare al camion che sta passando. Tanto più perché Prisci ormai è abituata alla casa a quello è il suo territorio.
Al limite quando arriva la primavera puoi farti qualche passeggiata insieme a lei in giardino, standole vicina.
Non ti parlo col cuore serrato ma per esperienza diretta. Io già da adesso tremo al pensiero della prossima estate, della casa al mare, e dei pini alti 15 metri.

Choppa ha detto...

hai ragione, infatti mi ripeto: "è per il suo bene, e forse anche per quello del rosso".
La Prisci non sa venir giù dagli alberi. Ha provato ad arrampicarsi ma poi che fatica a tornar giù, che cretina! La tua forse si ricorda dell'incidente e quest'estate ci penserà due volte prima di ripetere l'esperienza.
(ps: la pratica mi sta dando una forza inaudita, mi spavento).