lunedì, agosto 16, 2010

La casetta

Mi ero scordata cosa volesse dire guardare il cielo dalla finestra di una mansarda. Tu sei sdraiato sul letto, allarghi le braccia sul materasso e intanto le nuvole ti passano davanti agli occhi, e anche se attorno ci sono solo travi di legno e odore di casa di campagna, si riesce a sentire il vento e ti sembra di essere all'aperto.
Sotto di te c'è una rampa di scale ripida, che non vuoi pensare per il momento di dover scendere, con quel secondo gradino che scricchiola e il cedro sdrucciolevole. Poi c'è una stanza matrimoniale con un brutto cassettone giallo, dei quadri appesi alle pareti, e ancora più in basso, al piano terra, una cucina dalla quale si sente provenire il rumore dei piatti lavati dai resti del pranzo.
Mi ero scordata cosa volesse dire sentire qualcuno che lava i piatti al posto tuo.
I miei genitori hanno comprato questa casetta in montagna e se non fosse per un piccolo televisore sempre spento blaterante niente dall'angolo acuto del salotto, e per un paio di pupazzetti di plastica trovati nelle merendine e messi in mostra da mio padre accanto al camino, sarebbe uguale in tutto e per tutto a certe case che leggevo nei libri quando ancora potevo scegliere che libri leggere.
Sarebbe uguale a quelle col filo di fumo che esce dal comignolo, che si disegnano sui fogli per compito, che i ricchi comprano per le vacanze, coprendo i divani con i teli d'inverno.
Dove si tira la sfoglia sul legno, con un mattarello mai lavato con l'acqua, ma raschiato via dalla pasta vecchia con uno strumento di ferro, o un foglio di giornale.
Sarebbe una casa col pavimento di cotto, freddo sotto i piedi per la colazione: con un bicchiere di latte appena munto e la crostata di rusticani.
Non fosse per le pile di giornali, sarebbe un posto dove il mondo è già finito, dove il tempo è scandito dal crescere degli alberi e dal rumore di vite tolta che fanno i tarli.
Una favola prima di addormentarsi, il prete sotto le coperte e il pitale nel comodino: non fosse che siamo già grandi, le tubature nuove e il secolo fiammante.
La sera un fuoco denso, o in estate un pentolino di more: ieri le ha colte mio padre ed erano ancora piccole, non del tutto mature. Dietro al tavolo da pranzo c'è una foto incorniciata di lui da giovane con qualche suo amico, e se non fosse per la barba e il viso magro, per qualcuno che è morto, sarebbe proprio come adesso.


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