mercoledì, gennaio 21, 2009

Che nessuno lo seppia

Allora metto le ballerine, le calze, la gonna. Le calze sembrano perfette ma in realtà hanno un buco grosso come la Malesia che s'allarga sul cavallo, oh, non c'è verso che riesca a far rimanere integri i collant per più di una settimana. Si sgarrupano sul tallone, si tagliano alle ginocchia, si sbizzarriscono in artistiche smagliature che partono dalla coscia e arrivano al polpaccio in una slavina di buchi e losanghe sfilacciate.
Il paio che ho ricevuto a Natale, con la classica doppia cucitura sul culo per sostenere le megachiappe da taglia conformata, sono durate addirittura il solo spazio di un mattino. Tutta fiera di poter metterci sopra qualsiasi cosa, senza preoccuparmi che l'orlo della sottana di turno non sbugiardasse i tagli alla Fontana, mi sono infilata la gonnella al ginocchio da impiegata part time e sono partita per non mi ricordo più dove tutta sfavillante nylon di pacca.
Due ore dopo m'impigliavo nelle viti dei sedili sul 20 Casalecchio-Pilastro aprendomi uno sbrago di 10 cm su ogni gamba, e addio per sempre calze nuove (e lunga vita al cappottone mascheratore).
La mia amica Giorgia diceva che basta mettere una goccia di smalto per unghie al primo segno di smagliatura, per sigillare i lembi e impedire l'espansione della ferita, ma io o mi accorgo troppo tardi del danno, ormai irreparabile, o non ho smalto per unghie sottomano. "Giorgia va bene anche il lucidalabbra?" "No, quello serve a rendere attraente un'altra ferita, quella che usi per sparare cazzate".
Un'altra ferita.

A buco celato e trucco steso, i capelli raccolti una volta ogni tanto (ti ricordi quando da piccola ti vergognavi della dermatite dietro il collo e non li legavi mai? ti vestivi con gli stessi pantaloni di velluto tutti i giorni e se si bucavano li rammendavi,
ancora oggi non te li leghi
nemmeno oggi, ancora),
vado al pub e mi prendo una Guinness, perchè adesso sono grande e so gestire sbronze, chiacchierate nei locali, sguardi scrutinatori e buchi nelle calze.
Ci sediamo al primo tavolino appiccicoso, mi tolgo la sciarpa
(la dermatite succede ce l'hanno in tanti "shit happens" e nessuno te la guarda,),
"prendo una Guinness tanto per fare l'intellettuale. E le crocchette di riso".
Poi mentre un video dei Prodigy
(giravi con la catena appesa alle braghe, un pennarello a punta grossa in tasca, le mattine e i pomeriggi a riempirti di faaaaaiiiierstaaarted tuisted faaaiestaaarted) detona lungo i muri di legno rivestiti e tu adesso guardati,
la gonna
(le Gazelle rotte)
le ballerine
(il delirio del sabato pomeriggio)
le calze quasi perfette
(l'angoscia l'angoscia l'angoscia)
si siedono nel tavolino appiccicoso davanti al nostro i miei due ex rappresentanti d'istituto.
(Vedranno come sei cambiata. Loro no. Loro portano ancora quelle felpe da Bolo, Underground Bolo, città pesa e non lo dico solo, quei tre/quattro ettari di stoffa e le dita che sembrano ancora spippolare que tre/quattro milligrammi di fumo. "E ne vuoi? Mettilo nel bong che si scioglie così e lo tiri su col liquido, ciao e buon viaggio, iniziata".)
La mia birra è ottima. La schiuma soda, il liquido gelido, il bicchiere liscio quasi liquido anche lui nella sua superficie perfetta, non avrei mai pensato che quella cameriera col culo a pera e l'apparecchio potesse spillare una pinta così.
Come sono diversa
(sei la stessa)
mentre penso "come sono diversa da quando dissi sì e loro mi chiesero se ne volessi ancora e io dissi ancora di sì e non mi sapevo comportare, io e i pantaloni di velluto sempre gli stessi sempre le stesse canzoni".
Adesso sto bene....e loro guardali, con i capelli bianchi
(anche tu)
gli ex più fighi del liceo ammirati da tutti
(da te)
mentre continui a bere, a parlare, a essere tranquilla, adesso, di come sei.
Della dermatite, del tuo corpo
(dell'angoscia dell'angoscia dell'angoscia)
loro che hanno negli occhi le notti di corsa nei sottopassaggi pisciati e le bombole spray decapitate attorno.
Loro se mi notassero non mi riconoscerebbero mai, ma io sì
(ti riconosceresti?), perchè sono gli stessi. Ma non si accorgeranno mai di me perchè parlo a voce bassa, Keith Flint a troppo alta e adesso sto bene, incastonata nel contesto.
Non più disadatto abbozzo di tentativo di donna, ma ragazza serena
(apparentemente, tutto all'apparenza, l'angoscia l'angoscia) che chiacchiera con un amico e una pinta di birra in mano, che si sente a suo ag...
CRASH.
Un'orrida macchia di birra e vetri si stampa sul pavimento di cotto, così, come un fatto compiuto.
La solita me
(sei uguale)
ha fatto cadere il bicchiere. Tutti si voltano per un attimo, compresi i miei ex popolarissimi rappresentanti d'istituto in disuso, ovviamente.
Che mi riconoscono al volo, ovviamente.
"Ah, ciao Choppa,...come va?"
"Ehm eh beh....di tempo ne è passato e io...."
"Attenta a non ferirti ahahahahhah".
"ah."
Ferirmi.

La sera dopo passo in rassegna il bollettino dei superstiti del frigo: due confezioni di seppie, due uova, una piantagione di prezzemolo, un barattolo di pangrattato.
Preparo le seppie ripiene. Le dischiudo delicatamente con le dita bagnate d'olio e le colmo di una farcia preparata con tutti gli ingredienti, più due spicchi d'aglio tritati, sale pepe e un'altra cosa che non dico. Sono cuori che non straripano per un pelo, sono bocche sull'orlo del rigetto, sono ferite.
Ferite.
Sembrano vulve, wounds, che a dire le due parole di seguito la forma delle labbra quasi non cambia.
Sono buchi da nascondere sotto gonne abbastanza lunghe.
Basta un soffio, un morso, una distrazione per disvelarli, un'
(lasciarsi andare)
angoscia passeggera dal passato lontano, il fuoco per un attimo troppo alto e il danno è fatto.
Ci si riapre e tutto, tutto, rischia di tracimare.

15 commenti:

SunOfYork ha detto...

grazie a dio più passa il tempo, più si riesce a dare una confezione esteticamente gradevole a certe ferite - certi varchi rimangono celati vuoi dall'autoironia, vuoi da una più consapevole gestione della propria femminilità. fatto sta che quella di ricomposizione esteriore (fino ad ora solo esteriore è possibile per me, non mi va di millantare una tanto agognata coesione interiore, pfui, anche la sola parola mi viene difficile) è un'operazione lenta e che richiede infinite figure barbine. per fortuna c'è qualcuno (pochi) in grado di apprezzare questa sorta di caos espressionista che è la mia esistenza (e a quanto pare anche la tua), e di vedere in quella una sorta di unicità - per quanto strampalata e comica, ma pur sempre la nostra unicità :)

sun
(ho adorato questo post come non mi accadeva da secoli)

Penny Lane ha detto...

Ci sono dei punti in questo post dove...dove...grazie. Posso solo dirti: grazie.

DRESSEL ha detto...

hai una capacità evocativa impressionante. ti vedo chiaramente.

daniela ha detto...

Bellissimo.
Peccato averlo sprecato per il blog, io lo vedevo bene nel tuo libro. ;-)
Brava! Ma davvero, davvero, davvero.

Andrea Patassa ha detto...

Ecco perchè passo sempre per questo blog, quello che hai scritto me lo ricorda.

Choppa ha detto...

@tutti: grazie a voi, son contentissima che vi piaccia quello che scrivo e soprattutto che attraverso gli spiragli della mia vita vediate la luce della vostra (un po' come John Beushi con James Brown, insomma).
Adoro i complimenti eheheh. Devo dirlo: quelli di Sun mi sono particolarmente graditi, perchè la reputo un'ottima scrittrice. Graditi professionalmente :)

@daniela: non penso che niente di quello che scrivo , se pubblicato sul blog, sia sprecato. Tengo molto a curarlo proprio come se fosse un libro.

@patassa: ma infatti torna, tornaaaa! =)

Claire. ha detto...

A volte penso che corriamo per il mondo come la mamma di "Mamma Ho Perso l'Aereo", cercando di trascinarci tutto dietro, come se avessimo scatole e scatoloni e pacchetti tutti impilati, cercassimo, raffazzonando [bolognesismo], di tenere stretti tutti i pezzi della nostra vita, "così gli altri non si accorgono che in fondo sono sempre la stessa, devo sembrare cambiata".

daniela ha detto...

Oh ma io scherzavo! Ovvio che bisogna curare tutto, lo dicevo solo per spingerti a pubblicare! ;-)

Choppa ha detto...

@claire: già...e puntualmente ci scordiamo a casa la cosa più importante.
ps: credo che da quel film sia nata l'impellente necessità globale di possedere un telefonino.

@daniela: lo so. Solo che non riesco a scrivere niente pensando "questo va bene per il libro, questo per il blog". Quando ho qualcosa che urge, rigetto.
Come quando ti vien da vomitare...non stai tanto a preoccuparti di raggiungere il water.
(la metafora è perfetta) =D

.C annA ha detto...

ehm... il ce lo mettevo lo smalto sui buchetti delle calza ma... lo facevo quando avevo le calze addosso e...
vabbè, il finale si intuisce!
^______^ ghghghgh (che scema!)

Ahhhhhhhhhhhhh innocente adolescenza [ la mia lo era... quella di oggi non lo è più! :( ]

Prisma ha detto...

Mi è piaciuto veramente tanto quello che hai scritto. Ma tanto.

E poi...

Come quando ti vien da vomitare...non stai tanto a preoccuparti di raggiungere il water.

Ah, quanto ti capisco.
Metafora perfetta, sì sì. :D

fabio r. ha detto...

ma sei la figlia inedita di bukowsky??

Anonimo ha detto...

choppa, quello che scrivi è fenomenale!!! anche per me le calze sono un granissimo problema..

Choppa ha detto...

@scarabocchio: idem. Certo che a noi devono sprangare in una cella imbottita. (dotata di wireless, però)

@prisma: grazie :*

@fabio r. : si, e adoro i panini al prosciutto!! =)

@alfie: grazie. Ma per chi NON sono un problema, le calze?

Anonimo ha detto...

angoscia passeggera dal passato lontano, il fuoco per un attimo troppo alto e il danno è fatto.
Ci si riapre e tutto, tutto, rischia di tracimare.

sono trasalito a leggere queste parole. è il mio stato d'animo assurdo, inatteso di oggi e forse di molti dei giorni che a questo seguiranno.
Choppa, questo tuo post lo trovo grandioso, un poco "tenuto" rispetto al tuo solito ma grandioso
un bacio