giovedì, febbraio 16, 2006

Il corso di cucina di cui sotto


Il corso di cucina di cui sotto appartiene ad una nobile serie d'iniziative organizzate dall'Assessorato delle Pari Opportunita' del mio comuncino in collina.
Un gruppo di donne, diverse per eta', nazionalita', cultura e gusti si trova ogni mercoledi' in una cucina dell'Arci ad impastare, affettare, lievitare, sfrigolare e lessare un sacco di roba buona sotto la guida della mitica insegnante Candida.
Al momento dell'iscrizione, immaginai di partecipare ad un corso di tecnica culinaria, tutte con grembiuli uguali e retine a raccoglierci i capelli, sillabando nomunclature di utensili sconosciuti, imparando a cucinare.
La cosa si e' rivelata un po' diversa: lezione dopo lezione abbiamo cominciato a conoscerci, a parlare di noi.
Tra un pane marocchino con il miele e le lasagne alle verdure ci raccontiamo chi siamo, la nostalgia del pesce fresco di Dakar, il montone cotto per strada a Marrakech, le difficolta' quotidiane di ognuna, le sfumature della religione mussulmana che vanno dalla rigidita' intransigente delle donne arabe all'allegra fede di quelle senegalesi.
In questo periodo, tra le polemiche religiose e culturali generate da un'ignoranza abissale dall'una e dall'altra parte, un corso del genere e' quanto di piu' prezioso mi potesse capitare. Sto imparando ad avvolgere i "Nem", a dosare la farina per i "Baghrir", e a friggere le sfrappole, ma sto imparando anche a capire che diverse esperienze messe insieme fanno una ricchezza infinita.
Daba, una mia compagna del Senegal, sta diventando il mio guru personale: la scorsa settimana stavamo parlando del concorso al quale sto partecipando, al fatto di dover partire e vivere all'estero per quasi un anno. E lei, con le mani sporche di marmellata, le treccine fucsia raccolte sulla testa, mi dice: "Marta, non pensare ai problemi. Si vive, si fa."
E con questo chiuderei.

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