sabato, novembre 05, 2005

Turtlein Rouge


Un amico mi ha chiesto di mandargli dei pezzi della nostra citta'.
A dire il vero non si e' limitato a questa semplice richiesta, il pignolino vuole accurate descrizioni di luoghi che secondo me potrebbero mancargli, ora che vive altrove.
Ma come faccio? Bologna e' cosi' personale, non potrei che scrivere in una soggettiva che vira all'arancione, un po' come le sfumature di quei filmini amatoriali sovraesposti.
Gli parlerei delle pareti del mio ristorante preferito, legno posticcio color marrone scuro, e del suo pavimento in linoleum: due stanze da niente in una brutta strada del centro, devastata dalle bombe della seconda guerra mondiale e ricostruita con una mano sola, nelle quali il proprietario ottant'enne si trascina aggrappato al carrello dei morbidi bolliti.
Potrei descrivere come questo connubio tra tentata dignita' borghese, pessimo gusto per l'arredo e sublime qualita' della cucina rappresenti la citta' stessa.
Il divano di pelle marrone di mia nonna, la sua stanza dei bottoni: ovali, quadrati, perlacei, zebrati, alamareschi, tondi. Lo scroscio che facevano sul pavimento rossiccio, com'era bello giocarci e noioso metterli a posto.
Bologna e' i corridoi dei licei durante l'annuale occupazione: l'odore acre dell'erba, il vestirsi alla moda, l'ascoltare una musica conforme alle proprie incrollabili convinzioni.
Vendere le torte fuori dalla scuola.
Avere freddo mentre si fanno gli ultimi acquisti natalizi.
Incontrare due o tre amici e andare insieme a prendere una cioccolata calda alla Torinese.
Boccheggiare d'estate davanti alla Sala Borsa, aspettando un tizio che ti deve passare gli appunti.
I bicchieri di plastica abbandonati sui davanzali dei primi piani, il rosso ovunque, sui tetti sulle strade sui portici sui muri sui manifesti sui maglioni sulle braci delle castagne sulle bocche sui pomeriggi sugli alberi sugli scorci del ghetto sui tramonti di giugno sui concerti con lo sconto.
Gli anni settanta che fanno capolino e respirano ancora sotto le macerie capitalistiche.
Li vedi in un brutto piatto di ceramica, negli studenti barbuti, sul sellino di una bicicletta.
Nella mesticheria che resiste in via San Felice, stretta tra un Bowling e una Boutique.
Nella drogheria della pioggia.
Attraverso l'inflazionato sportellino che mostra il fiume sotto la citta'.
Potrei parlargli dei cinema che si spappolano sotto le ruspe come oswego nel latte caldo.
Dell'illegale razzismo in nome della legalita'.
Della merda ovunque, delle pellicce, dei tre euro e mezzo per un panino grinzoso prosiutto e furmai.
Dei pomeriggi al Talon, dei fiori che quando spuntano bucano ogni toupet d'erba residuo.
Dei film dell'Odeon e della sua "sala d'aspetto", del Bombocrepe e di chi ci bazzica intorno, tutti studenti e punkabbestia appena matricolati.

Ma non so se capirebbe, non so se riuscirei a trasmettergli la nostalgia pungente che dedico alla mia citta', alle lacrime che premono quando penso ai quadrati colanti oro e mozzarella di Altero, alla pace totale che mi invade quando passo per il Mercato delle Erbe.
Guardo i peperoni, la pasta fresca, il pane.
I pesci a bocca aperta.
Le frattaglie.
Il macellaio mi offre un centimetro cubico di mortadella.
Lo mangio e penso che Bologna e' quella poesia di Tonino Guerra, "Al mi fiomm", dove non c'e' posto per delicati sentimenti, ma solo per i soldi, la terra, il grasso, la nebbia, la ricerca dell'oro.
E se si vede passare una colomba si pensa prima a come arrostirla che ad un messaggio di pace.

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