Mi piacciono il freddo, la pioggia, i venti forti, le nuvole grigie.
Con il bel tempo mi sento obbligata a essere felice.
Stamattina ho dormito, sarei dovuta andare fuori, e invece sono tornata alle tre di notte e ho dovuto mandare un messaggio con un occhio solo dicendo " domani non ce la faccio, scusate".
Perché mi sono dovuta scusare?
"Non ce la faccio" sarebbe suonato male?
Non ho voglia di votare.
Ho paura di fare la fila con le altre persone.
Ieri pomeriggio io e Marco abbiamo visto metà di un film in cui Bill Murray è pieno di fisime e manie; usa il fazzoletto per toccare le maniglie, non riesce a salire sull'autobus.
Io per un periodo ho faticato a prendere l'autobus perché soffro di un disturbo che si chiama emetofobia, paura del vomito, specie in luoghi chiusi, e ovunque andassi -ristoranti, camere, grandi città- calcolavo la probabilità che qualcuno potesse sentirsi male.
A me questa fobia sta piano piano passando: prendo l'autobus senza preoccuparmi di esaminare al volo le facce dei passeggeri, in cerca di sfumature verdognole.
La fase acuta l'ho vissuta verso i diciotto anni, ancora ricordo certi resti di fast food rigettati sui marciapiedi delle metropolitane.
E' qualcosa che va oltre il disgusto, la repulsione istintiva; è un terrore, una vista che viene vissuta come una forte violenza.
Chi vuole trovarci un significato lo spiega come la paura di lasciarsi andare, di perdere il controllo, di far vedere agli altri qualcosa di intimo, di nascosto, di cui vergognarsi, che proviene da se stessi.
Mi sta passando grazie alle esperienze.
Quella volta che dopo aver visto Lo Hobbit abbiamo deciso di prenderci un hamburger e un ragazzo ha vomitato a cascata davanti alla cassa del ristorante.
Mi sarei immaginata scene di panico oceanico, e invece niente, come nulla fosse, tutti hanno continuato a mangiare. Dal nulla è comparso un inserviente dalla faccia impassibile e in un attimo tutto era scomparso; solo io stavo pallida, in piedi, davanti alla folla golosa a prescindere e al ragazzino sgomento del suo gesto abominevole.
Poi, l'ospedale: solo che lì sembrava tutto sospeso come su una navicella spaziale. Persino le paure sembravano lontane.
I gatti che mangiano troppo veloci e ti fanno trovare regolarmente boli sui pavimenti.
Anche la paura più paralizzante pare che con l'esperienza e il tempo passi.
Io non so se ho paura di essere felice, di non vergognarmi.
Quanto tempo dovrà passare perché se ne vada completamente. Forse mai, forse dovrà restare, quest'avversione alla spensieratezza a tutti i costi, il rifiuto dello stare bene senza domandarmi. Forse è per scavare sempre più a fondo, all'origine di ogni cosa.
Forse adesso che so che si può superare, la paura è anche la mia fortuna.
2 commenti:
Ciao Choppa,
sappi che a volte ritornano e spesso (i) leggono, anche.
Un abbraccio dal Cannu discontinuo a commenti alternati.
Ciao Le Cannu!
Scusa il ritardo. Bentornato, un bacione
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