giovedì, agosto 01, 2013

Disimpegno

Sto seduta nel disimpegno della casa dei miei genitori, a Pavana.
"Disimpegno" non è male come parola, e poi questo è un disimpegno bello serio, con tutti i crismi: due finestrelle con l'intelaiatura di legno e le tendine che si aprono sul giardino fiorito, una sedia di vimini dallo schienale traforato e sulla seduta un cuscino bianco all'uncinetto, un vecchio comodino di legno intagliato, due vasi pieni di fiori, la luce del sole che fotografa il parquet, una serie di quadri incorniciati di vecchie stampe, disegni a mano di melograni, pere, ciliegie. Sembrano tavole anatomiche; le venature delle foglie in rilievo, i chicchi chiaroscurati dei frutti. Starebbero bene appese nello studio di un dottore. Un deumidificatore di coccio appeso al termosifone.
In questi giorni a Pavana dormo, guardo gli alberi, cucino, mi lavo.
Leggo "Educazione siberiana" e risolvo i bersagli della settimana enigmistica.
Mangio gli zuccherotti montanari staccando con un morso la glassa spessa. Allungo i piedi sulle poltrone e penso alla parola "disimpegno".
Mi sembra di avere tutto il tempo del mondo prima di pensare, ancora, di trovarmi sul solito orlo del precipizio dell'autunno.
In prima elementare mi hanno dato una fotocopia con i mesi dell'anno raffigurati come una ruota, con dicembre al culmine e luglio in piena curva, e da allora continuo a pensare, in estate, di stare sbandando, di prendere una piega pericolosa, prima di rimettermi in carreggiata a settembre. Una volta c'era la scuola a confermare il giusto binario da prendere prima della chiusura del cerchio, ora non ci sono scadenze precise e sono immersa in un limbo da disegno ciclico, in un disimpegno da cartolina con le foglie che si muovono al vento e davanti a me altri giorni di sonno, di polpette e paste al forno.
Pomeriggi di passeggiate in paese a guardare il fiume e i negozi di scarpe.
Appena arrivata qui, il mio cellulare è entrato in sciopero e ha deciso di spegnersi.
Qualche volta mando un'email, scrivo delle cose sciocche su facebook, perché nel disimpegno aulico c'è posto - seppur in punta di scrivania - per il pc portatile e la chiavetta wifi.
La sera, in giardino, arrivano i cinghiali.
La mattina ci sono le montagne che tirano sospiri stanchi.
Il condimento della pasta che ho cucinato oggi per pranzo mi è rimasto incastrato da qualche parte in gola, forse è il senso di colpa o di incompiuto, l'incertezza di ciò che arriva, il disimpegno, in questa giornata incastonata tra decine di altre pigre e soleggiate, calme e misteriose come il bosco, in cui si aspetta un verdetto che non cambierà niente, né situazione né coscienze.
Eppure, che può aprire uno spiraglio.
In pratica, nulla cambierebbe. Le sedie rimarrebbero ferme al loro posto. Ci sarebbe sempre lo stesso vento, le stesse voci muoverebbero le solite foglie, e la ruota dei mesi girerebbe uguale, con gli sbandamenti dell'estate e i sicuri culmini invernali, eppure qualcosa, qualcosa cambierebbe.
Senza speranza, lo dico, senza che conti davvero.
Qui in montagna in villeggiatura come i pensionati dal cuore pacifico, senza una vera certezza di ciò che penso, così, senza il coraggio dell'entusiasmo, come si commenta una passeggiata.
Se Berlusconi viene condannato non cambia niente, io resto qui a dover scrivere il nuovo libro, a non sapere cosa mi aspetta davvero, a cucinare per la cena la pizza e le verdure, a sedermi in riva al fiume, ad ascoltare le montagne.
Che però, a tendere bene le orecchie, forse i loro sospiri sarebbero più leggeri, sarebbero della stessa consistenza di un risveglio allegro, di una nuotata dopo l'afa, di qualcosa che quasi si teme possa essere vero. Di sollievo.
Di disimpegno vero, quello che arriva non in mezzo a tanti altri, ma dopo una lunghissima fatica.


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