venerdì, settembre 28, 2012

O Francia O Spagna

Mentre preparo la pasta con i piselli e le zucchine, penso di scrivere un po' e aggiungo anche la salsa di pomodoro comprata alle bancarelle dei terremotati; mi viene in mente che visto che sto già tremando - un filo elettrico che mi collega il capo ai piedi - un po' di pomodoro scecherino in più non può farmi poi così male.
Al mattino a Granada si mangia per colazione un panino lungo tagliato in due, spalmato di pezzi di pomodoro freschissimi senza pelle e cubetti minuscoli di prosciutto crudo scuro e spesso della Sierra.
Noi prendevamo due tazze di cioccolata densa come simmenthal, un piattone di churros fritti da intingerci dentro e due alti bicchieri di succo d'arancia decorati con una cannuccia lunga e uno spiedino di legno dal quale spuntava un frutto di cartapesta come una banderuola.
Quel panino al pomodoro per colazione l'ho sognato anche addentando i churros sublimi, senza avere mai il coraggio di chiederlo. Non so il nome preciso, bocadillo con tomate? Non volevo fare una brutta figura.
Inghiottivamo frittelle e cioccolata seduti al bar migliore di Granada, turisti veri che si prendono tutto il tempo di desiderare già un altrove.
La libertà, ecco cosa, e sentirsi a casa.
Sentirsi a casa non vuol dire spaparanzarsi buttando le scarpe nel corridoio, sporcare le finestre e urlare, grattarsi il sedere e dimenticarsi le buone maniere. Quella non è nemmeno la libertà.
Sentirsi a casa è poter girare a piedi senza fare rumore, guardando e sorridendo alle torri andaluse come fosse possibile farlo tutti i giorni, e sapere che lo si potrà fare tutti i giorni, semplicemente ripensandoci.
Il salmorejo freddo, la zuppa simile al gazpacho completa di prosciutto crudo (ancora) e pezzetti di uovo sodo: mangiarlo dal cucchiaio e sentirlo nuovo eppure vicino, possibile, vivido.
Gli aranci in mezzo alla strada con quei fruttoni rugosi che cadevano a terra maturi, come dietro casa mia cadono gli aghi dai pini.
La cosa più preziosa che mi abbiano lasciato i miei travagliati anni di studio è la conoscenza delle lingue.
A Parigi mi ha punta un'ape alla fermata della metro e io ho cacciato un urlo da incrinare il sacro cuore, imbarazzandomi per le mie stesse grida di dolore e per i parigini indifferenti insieme, eppure con la mano gonfia e lo spauracchio dell'allergia, sono stata in grado di entrare nel primo pub e chiedere del ghiaccio perché un'ape mi aveva piquè. Il cameriere ha capito, mi ha portato decine di cubetti e un sorriso di pietà come fosse il mio vicino di casa. (anzi di più. Il mio vicino di casa è uno stronzo).
La mano è guarita, io ho preso la metro e ho passato tre giorni a naso in su a guardare la Senna e i tetti transatlantici sfuocata in un'estasi al vento e foie gras.
Poi dicono che studiare non serve a niente.
Abbiamo visto i quartieri di Siviglia dove si balla il flamenco nei retrobottega, e piatti di aperitivi traboccanti di olive mandorle fritte e costolette glassate di salsa agrodolce; i bicchieri di sangria e cerveza leggera, dei cani rincorrersi per strada, i palazzi arabi rivestiti di piastrelle colorate e i patii invasi da piante rampicanti.
Tutto ce lo siamo visto, lo spettacolo dietro casa.
Tutto ci siamo mangiati, bevuti, con le fauci e con gli occhi, increduli davanti ai rivoli d'acqua che scorrevano liberi in mezzo alle stanze dell'Alhambra.
Libertà è poter usare tutti i sensi, e nel cambiare gli aerei, nei tramonti sulle vie in salita, nell'assopirsi sulle panchine roventi, l'abbiamo provata quella sensazione di mondo piccolo; nelle fette spesse di chorizo e nel saper trovare i percorsi e perdersi.
Sentirsi come a casa non è mangiare la pasta in una plaza.
Non è trovare Raiuno tra i canali dell'albergo in rue Rivoli e vedersi la finale di miss italia ruttando moretti.
Non è capire tutto al volo né riconoscersi in un posto diverso.
Io credo che sia continuare a stupirsi. Stare in silenzio.
Aprire gli occhi, le mani, la bocca e le narici e dirsi "adesso me lo sento tutto, tutto mi sento", e buttarsi a capofitto.





Questo abbiamo fatto, abbiamo visto.
Il resto non ve lo dico.
Basta attraversare il giardino, e ci arrivate anche voi.






2 commenti:

Unknown ha detto...

Poco altro da aggiungere... il tuo "fiabare" è elisir ricco e saporito... guarisce l'anima...

Luce e Amore alla vostra vita

Choppa ha detto...

olè! Grazie che bellezza, sarà perché sono ispirata dallo splendore del vecchio mondo! Bacioni anche a voi da noi