venerdì, maggio 25, 2012

Tutto quanto

Si dice che il lavoro nobiliti l'uomo, lo renda libero completo e consapevole, autosufficiente, indispensabile alla società.
Allora io ho fatto così, ho detto: "va bene, accetto anche questo lavoro, lo prendo nonostante ne faccia già altri tre, anche se non so se sia la persona più adatta e sia in ritardo con le consegne, però grazie, sì, mi va, perché ieri mi è arrivata la combo gas+luce+rusco e sono ben 116 euri e io non sputo sopra a 4 ore di lavoro ben pagato, no".
Mi sono preparata meticolosamente, studiando la notte il catalogo dell'azienda per la quale avrei dovuto fare l'interprete. Mi sono scritta la lista dei vocaboli in italiano e francese, ho cominciato a tremare perché il tempo era poco,
"ma sono una professionista" mi incidevo nella testa,
insieme ai termini più astrusi mai inventati tipo brugola del terzo tipo  (cos'è, dobbiamo aspettarci l'invasione?), ribaltina aperta e chiusa  e zebra piasta (che, se non lo sapeste, è una vite autoforante in bimetallo. No, giusto per rendervelo più chiaro).
Così la mattina e il pomeriggio scrivevo a busso e davo ripetizioni, benedicendo le povere allieve  alle prese con gli anfratti del francese, che mi davano l'opportunità di ripassare, la sera cucinavo e la notte studiavo il catalogo della Wurth.
Mi preparavo al lavoro che avrei fatto in mezzo a mille altri, perché io valgo, e il lavoro pure, e i soldi anche, e so che posso starci dentro, a questo essere pronti.
Mercoledì mattina vado che sono stupenda.
Per una volta ho i capelli a posto, le scarpe adatte, i pantaloni il top che mi fa due tette così, tutto: dentro sento una tensione come tendini di tennisti, tacchetto e mi sento brava, sono brava, je suis perfaite, pronta e multitasking, eccellente nel passare lo strofinaccio nel forno così come intrattenere una conversazione di due ore in una lingua straniera, sono fiera di me, sono professionale e basta.
Lavoro.
Gestisco il panico: il capo d'azienda a cui devo fare da interprete ha 26 anni.
Lo aiuto a comprendere tutto quello che dicono i venditori della ditta che mi paga, sono esaustiva, sorrido, la mia pronuncia è perfetta, je suis parfaite.
Nel capannone dove producono barche mi sento piccola e produttiva, seguo il discorso, so come si dice distributore automatico di viteria, so come si fa ad annuire, cedere la precedenza e camminare per i corridoi della fabbrica.
Andiamo anche alla Ducati, passeggiamo tra le file di operai che mi guardano le tette, io scuoto la testa e arroto la erre così bene che il piccolo capetto mi chiede se io sia francese,
di che parte esattamente?
Posso essere così.
Produrre. Fare soldi con le proprie competenze. Adesso mi metto sotto, finisco l'università e mi dedico a questo, tradurre e interpretare, guadagnare, toccare le viti e sorridere ai clienti, via via via con tenacia sicurezza assertività tacchetti alti.
Sul pezzo, quadrata.
Ormai è andata, sembrano tutti soddisfatti.
Mi guardo nella cimbali del bar Ducati, un posto progettato da qualcuno tipo Pininfarina che sembra un hangar per elicotteri tirato a lucido con la vaselina.
Alzo un sopracciglio mentre accetto un caffè e annuisco ancora, ridendo a una brutta battuta,
questa sono io, professionale. Materiali lustri e volontà d'acciaio.
Senonché.
Ci sediamo nel dehors, discutendo informalmente di chiavi inglesi e aziende che chiudono.
A un certo punto, proprio al centro del pavimento dall'alto si apre un varco nel cielo,
illumina un ficus nell'angolo, gli operai in pausa pranzo, mi fa accorgere che finora c'era stato brutto tempo.
Alla radio è partito l'intro di "Everything" di Alanis Morissette, mi squarcia il cuore.

E' impossibile cambiare.


2 commenti:

MatteoG ha detto...

Che poi perché cambiare? Sei una tipa emozionale, testarda, entusiasta del lavoro, degli impegni e della vita. Avanti così!

Choppa ha detto...

Mah! Appena riuscirò a capire che va bene così, credo raggiungerò il nirvana