Poi mi ricordo anche che la notte non riuscivo a dormire perché il letto che si poteva piegare non si piegava mai abbastanza da non farmi sentire il male, così stavo in una posizione strana come su una barca che affonda, e poi avevo paura di rimanere sterile e anche a volte di morire, quindi Marco mi ha portato il suo I-pod e me l'ha lasciato sempre, tutte le notti, e io tutte le notti dopo aver mangiato l'orrida pastina annegata nell'olio per aiutarmi a far la cacca mi ascoltavo la musica da sola nella stanza buia del Maggiore, guardando fuori dalla finestra i primi giorni dell'anno che passavano con le persone imbacuccate, la neve e i cani, e io a piangere nel letto di ospedale, e siccome i Sigur Ròs mi facevano paura e i Coldplay non li potevo cantare, mi sono sentita tutti gli album di Lucio Dalla dal primo all'ultimo tutte le parole, e mi sono accorta, anche oggi in macchina sana e sotto al sole, che adesso che lui non c'è, è come se avessero scalzato le pietre dalle vie.
Io che ho imparato ad ascoltarlo solo grazie a Marco e alla malattia, in realtà l'ho sempre avuto cucito nelle fodere dei cuscini della nonna, nei pranzi della domenica con i viali vuoti e nei giardini Margherita, perché l'impasto delle sue immagini è lo stesso che si mastica ogni volta che si varca il cartello con su scritto Bologna.
La sensazione che i tovaglioli di stoffa buona, il carnevale dei bambini in piazza davanti a San Petronio, il brodo di cappone, la fuga, l'odore del soffritto per il ragù che trasuda dai muri e l'essenza di una città con lui fosse diventata universale, ci ha sempre fatti sentire grandi, anche nei momenti più bui della nostra storia.
Stella di mare è, insieme a Pillow of winds dei Pink Floyd, la canzone d'amore mia e di Marco, e non so perché ma confessare agli altri la propria canzone è per me intimo quanto mostrare i peli pubici, e spero che in tutto questo pulsare di ricordi caldi e preziosi legati a Lucio Dalla ci sia un senso che vada oltre il fatto di essersi infilati nelle orecchie due tubicini di gomma e nel naso il sondino naso-gastrico canticchiando Canzone per farsi coraggio.
Una parte di me, e non lo dico per dire. Qualcuno che senza farsi accorgere mi ha tenuto la mano negli ultimi tre anni, stringendola forte, e che ha appena lasciato la presa, pensando che, da questo momento, forse anche da sola ce la posso fare.
3 commenti:
un senso di vertigine per l'assenza improvvisa dalla nostra vita, canzoni che molti anni fa mi avevano inciso sotto pelle dei piccoli tatuaggi, nomi di ragazzi e ragazze raminghi, come quelli che scalpitavano nei romanzi di Stefano Benni...
ciao da Nico
anch'io ho sempre assimilato i due artisti, sai? Sono un po' scossa...
Un giorno triste, è come se se ne fosse andato uno di famiglia..
Ma tu lo hai ricordato superbamente..
Ciao Lucio..
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