martedì, gennaio 31, 2012

Peckato!

Sono andata a Milano per l'ennesima volta negli ultimi due anni e ancora non ho imparato dove sia Peck, e per la cronaca neanche a 'sto giro son riuscita a entrarci. Chiuso.
La mecca mondiale dei gourmet, la caverna di Fat Man, il laboratorio chimico di Cracco, il luogo dove 25 cl di olio d'oliva spremuto dai piedi di dodici vergini greche aromatizzato da sette gocce di mandarancio del Salento costano 30 euro e, come dice MC.,
"una vaschetta d'insalata di mare da 200 gr che mangi a malapena in uno e mezzo ne costa 70. Per carità, la più buona della mia vita eh, ma 70 euro. Mi ci compravo 9 chili di cotoletta",
chiuso.
Precluso agli squallidi turisti mangioni che hanno la volgare idea di capitare a Milano di lunedì mattina.
Bah, pazienza.
Peck sarebbe stato solo il coronamento frivolo di un viaggetto di lavoro, e comunque so che mi sarei aggirata per gli scaffali gravidi di leccornie sentendomi povera e miserevole come la piccola fiammiferaia.
Le ultime volte che sono stata a Milano l'ho fatto per:
1) incontrare un tizio che mi piaceva che mi ha sedotta e abbandonata sotto il portico di piazza delle erbe
2) visitare la mostra di Hopper aspettando tre ore e mezza in fila al freddo per poi scoprire che la mostra di Hopper faceva cagare
3) partecipare a una trasmissione televisiva in qualità di omina Michelin caracollante su un paio di tacchi che non so portare.

Questa volta ci sono andata perché dei tipi importanti volevano conoscermi (non si sa bene perché; 'sti tipi importanti devono avere gusti strani) perciò ho preparato lo zaino con il vestitino nero nuovo, i pantaloni neri nuovi, il profumo della Bottega Verde all'arancio dolce per me buonissimo e per Marco innervosente, ho chiesto come al solito ospitalità a quella santa della Ori che mi accoglie sempre nella sua casetta tutte le volte che per lavoro o piacere o idiozia me ne parto per il nord, ho preso il treno che costava meno ed eccomi là, a sballonzolare sopra il tram con le panche di legno, i lampadari di vetro zigrinato e la targhetta degli anni 30 che dice "vietato sputare".
Io la gioia che ho provato in questi due giorni non credo che arrivi da molto lontano.
Da Bologna sono 200 km, non viene da lì.
Quando mi sento felice mi si allargano gli occhi così tanto che cambio faccia, sorrido, io con la mia borsa dei Beatles e lo zaino marrone coi bei vestiti spiegazzati dentro, cammino per tutta Milano fotografando le sedi delle case editrici, guardando i punto e a capo dei palazzi a ogni incrocio.
Ho comprato per la Ori un vassoietto di piccoli dolci in una pasticceria a 20 metri da casa sua, non ho avuto il tempo di prepararmi prima, a casa, e allora ho scelto delle mini cassate dei mini cestini di frolla con dentro una crema al cioccolato fondente talmente morbida da poterla mangiare solo tirandola su col cucchiaino, le ho detto "eh le ho prese qua accanto" ma lei è stata contenta lo stesso e mi ha preparato il té mente mi raccontava di Mika.
Per due giorni mi ha parlato di Mika, che va bene sì è simpatico bravo carino, però dopo un po' basta.
Io invece le ho parlato solo di me e di quello che andavo a fare a Milano, che va bene evviva stai realizzando il tuo sogno però dopo un po' basta.
La sera abbiamo ordinato una pizza che era piccola come un salvabuchi però leggera leggera nonostante la salsiccia, che invece qua te la fanno con lo strutto fritto e anche dopo una margherita ti sogni l'apocalisse a cavallo, così mi sono addormentata in un battibaleno, vuoi il treno vuoi lo stress vuoi il quindicesimo ascolto della traccia 3 del nuovo disco di Mika (bello eh, per carità...).
Bàm, mi sono schiantata sul lettuccio e via che russavo come un trattore.
Il mattino dopo mi sono ritrovata non so come in ascensore su per il palazzo di un gruppo editoriale, coi vestiti pieni di peli perché nella notte il cane di Ori ci aveva fatto il nido.
MC. invece era bellissima, coi tacchi e i pantaloni di lana pettinata e gli orecchini pendenti che perdeva nei taxi, proprio come dev'essere un'agente, cioè ticchettante e con una bella carpettona di documenti sotto il braccio da sfoderare sulle scrivanie (e sui pavimenti dei taxi).
Nello specchio dell'ascensore ho fatto appena in tempo a vedermi riflessa tutta rossa e scarmigliata e a pensare "ah però vedi anche a Milano ci sono gli umarèll, vamolà che vecchietto buffo col cappello di feltro a quadri" che già siamo arrivate al pianerottolo zeppo di efficienti editor dai sorrisi smaglianti che tagliano i paragrafi come i giapponesi i bonsai, ed MC. mi sussurra "ma lo hai visto con chi eravamo in ascensore?"
No non l'ho visto, cioè sì, con un cappello floscio che balbettava buongiorno, non...
"Gherardo Colombo".
Uh.
Beh insomma io a parlare di quello che scrivo non sono brava; preparare le sinossi è il compito più arduo che mi si possa appioppare, e poi c'ho i vestiti conditi di pelo di cane, i capelli bianchi che non ho fatto in tempo ad andare dal parrucchiere e forse se ci fossi andata non mi sarebbero poi bastati i soldi per mangiare il Misto Forno al ristorante vegetariano dietro al Duomo che mi è rimasto sullo stomaco come un presagio ed MC ha sputato per metà in un fazzoletto perché è allergica al formaggio e i vegetariani non lo dicono mai, ma loro si strafogano di formaggio, e pur di tirarsi su con qualche proteina lo mettono anche dentro al tè.
Però ne ho dovuto parlare lo stesso.
"Ecco, ho scritto questo e questo e questo e l'ho scritto così così e così".
Io non so che impressione ho fatto perché io sono quella che sono, sono una che mentre sta impazzendo di gioia si preoccupa di capire perché.
Faceva un freddo assurdo a Milano ma io ho camminato e mi sono presa un caffè con un pasticcino al cioccolato in un negozio super fighetto con gli attrezzi da cucina pesantissimi e contadini posizionati in bilico a cinque metri di altezza sulla testa dei clienti in Louboutin, e mentre tutti si gustavano le paste a cinque euro sfogliando riviste di alto design, io fissavo inorridita i setacci in ghisa e i mattarelli di cemento armato strizzare l'occhiolino dal soffitto promettendo di precipitare sulle loro testoline mesciate.
Ho visto Peck chiuso e la sede del Corriere della Sera;  il portone di via Solferino dal quale entrava Montanelli, la Fnac (per cinque secondi, perché di più credo sia vietato dalle regole del buon senso), un angolo di galleria e Duomo da lontano, prima di sotterrarmi nella metro.
Un altro tipo importante mi ha dato buca ma non importa.
Sul treno che costava meno mi sono seduta di fianco a un signore che mi ha dormito addosso fino a Parma.
Io non so da dove venga questa gioia, se dal vento ghiacciato che mi piace tanto, dalle strade e i tram vuoti anche di lunedì mattina, dal ronzio della città dal fatto che cammino e prendo treni per i motivi giusti, per le cose che ho sempre desiderato, dai pasticcini al cioccolato, dal fatto di voler bene ai miei amici e di essere io con i miei vestiti anche quando sarebbe meglio di no, oppure è perché sta nevicando e ho una scusa per non uscire per un po', oppure perché sul fianco di un autobus che sfrecciava in viale Zara c'era una pubblicità che diceva:
"Oggi è il giorno più importante della tua vita?"
E io ho pensato "no!" e anche "è solo uno!"; e allora forse viene da questo, dal fatto che gli incontri i cibi i posti nuovi e le soddisfazioni e le novità non erano tutte ieri, non tutte là. Non nei palazzi, negli uffici, nelle piazze senza gente, nel letto di Ori nel cartone della pizza, né tanto meno da Peck (disse la volpe all'uva) o nelle confezioni dei Macarons impilati a piramide come oggetti di scena, non nelle cose o negli incontri o nei desideri, non fuori di me.
Dentro di me, ecco dov'è la gioia."
Questo mi dico, mentre riempio di nuovo lo zaino per partire ancora, sperando che 'sto c@#$°o di diarrea da indigestione di pasticcini mi passi prima di stasera, se no oltre agli intestini mi si prosciuga anche tutta la felicità.

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