martedì, aprile 09, 2013

Lavorare

Ho da un po' di tempo quest'idea di ciclicità che mi riempie la testa; per quante cose diverse faccia, per come il mio corpo possa essere cambiato, e di conseguenza le mie azioni, sento che si ripeteranno i gesti, i fatti, le opportunità, le condizioni.
Studiando il buddismo, ho scoperto che il concetto di karma nella filosofia orientale è molto diverso da come lo intendiamo noi: il karma in occidente sono le sfighe o le fortune che ti arrivano sul coppino non si sa bene da dove, e che bisogna accettare in quanto stabilite da una legge superiore che ci vuole o felici e fortunati o disperati e sfigati.
Per i buddisti invece, il karma è la conseguenza dei nostri pensieri, delle nostre parole e delle nostre azioni. Siamo noi che ce lo creiamo, il nostro karma, che ci deriva anche da ciò che abbiamo fatto, pensato e detto nelle vite precedenti. La cosa rincuorante è che questo karma si può cambiare in qualsiasi momento. Si può dire: "ok fino ad adesso mi sono comportato in questo modo e mi sono successe cose che nemmeno Paperino in una giornata no, però da adesso in poi voglio che non mi accadano più. Voglio comportarmi diversamente, così il mio karma (le mie tendenze) cambierà".
E come la scintilla della vita per il Dr. Frankenstein, si può fare.
Allora perché, se si può fare, ci ricado sempre?
Negli errori, nelle scelte che mi compromettono, nell'insicurezza e nell'indecisione, e nella loro conseguente influenza sfìghica e nefasta nella mia vita?
Perché il fatto che si possa fare non implica necessariamente che sia facile farlo.
Decidere di stare bene, essere profondamente convinti di meritarsi tutto, ma proprio tutto tutto il meglio, tutta la gioia, la realizzazione personale, è quasi impossibile.
C'è sempre quella voce che dentro mi dice: "ma dove vuoi andare, tu? Ma che, davvero credi di essere così brava, buona e bella da meritarti tutto questo? Smettila di sognare! E stai con i piedi per terra, piuttosto".
Mettere a tacere quella voce è impossibile, per me. Così cerco di ascoltarla e capire da dove viene.
In questi giorni sto cercando di fare questo, e la ciclicità di cui vi dicevo mi aiuta ad ascoltarla meglio.
L'altro giorno, per esempio, ero a una festa di musica irlandese. I miei zii suonano in questo gruppo che si chiama Bfolk, sono bravissimi, e ogni tanto suonano in giro per la città facendo sudare generazioni di bolognesi al ritmo delle anguille dell'Eire.
A questa festa c'era anche la Bianca insieme alla sua famiglia. Ve la ricordate, la Bianca? Era la bambina che badavo quando aveva sei mesi, ben sei anni fa, co protagonista del mio primo romanzo, che da buffa Cagona si è trasformata in dolcissima studentessa di prima elementare dalla lunghissima chioma e collant rosa confetto.
"Guarda Bianca, te la ricordi lei? Era la tua tata, quando eri piccolina!"
"Non me la ricordo" ha detto, comprensibilmente, la Bianca.
Poi mi ha guardata con gli stessi identici occhioni che aveva a sei mesi, ha allungato le braccia e mi ha stretta forte forte sorridendo, prima di tornare a scatenarsi nelle danze.

E' da un po' che penso che non devo fare altro che scrivere. Niente più altri lavori, ripetizioni e babysitteraggi. Che penso che dovrei credere di meritarmi di poter vivere solo ed esclusivamente con la mia scrittura e con le attività a essa correlate, che devo imparare a smentire la voce che mi vive dentro e mi dice di no.   E ieri mi hanno proposto di fare da babysitter, quattro giorni a settimana, a una bambina di sei mesi. Che tra sette anni mi abbraccerebbe scuotendo la testa alla domanda "ti ricordi chi è?"
Cosa vuol dire, tutto questo?
Che anche questa volta mi si ripropongono le stesse situazioni e opportunità. So cosa vuol dire, cambiare pannolini, spaccarsi in quattro per la responsabilità e i dubbi: l'ho raccontato nel mio primo libro e qui sul blog. So anche che sarebbero soldi sicuri, ogni giorno, la certezza di poter fare benzina e la spesa senza l'acqua che mi impedisce di deglutire serenamente.
Ma so anche che 'stavolta, perché il mio karma si modifichi, perché la voce che mi dice di non sognare troppo possa piano piano affievolirsi e cambiare tono, posso scegliere. Posso dire: "no grazie, io ho già un lavoro a tempo pieno. Non riuscirei ad averne due e non è giusto nei confronti di chi ne ha davvero bisogno".
Perché io, questo è il punto, non ne ho bisogno.
Io vivo con questo, con quello che racconto.
Con il panico, con la paura che magari ciò che racconto non venda e col cavolo che potrò permettermi il prosciutto crudo anche il prossimo mese, con l'insicurezza e l'ansia da prestazione che vengono dal fondo del profondo del fondo di me stessa. E che piano piano stanno venendo a galla, insieme alle stesse situazioni, alle stesse condizioni, alle stesse opportunità.
Che decido di non cogliere, mettendomi un dito davanti alla bocca, in verticale, dicendo alla voce dentro di me:
"sssssh, per favore fai più piano. E lasciami lavorare".



4 commenti:

Debora ha detto...

Io ti adoro!!
Ti stimo all'ennesima potenza!!

MatteoG ha detto...

Sei brava, Marta. E il tuo karma ti sta dando ragione. Quello stesso karma che tu con i tuoi pensieri, il lavoro su te stessa, gli ostacoli fisici e mentali che hai scansato dalla tua strada senza mai cedere alla facile tentazione di guardare avanti, scuotere la testa, voltarti e tornare indietro, ora lo vedi in tutta la sua realizzazione.
Hai fatto bene a rifiutare quel lavoro perché tu un lavoro già ce l'hai e ci devi mettere dentro tutta te stessa perché diventi sempre più ricco di soddisfazioni, sempre più un lavoro sicuro e ti faccia più serena e felice. :)

Choppa ha detto...

Grazie come sempre, amici, per il vostro supporto!
Guardare avanti si deve sempre, così come si deve accettare e cercare di comprendere fino in fondo ciò che è successo e succede nella vita, senza fare mai finta di niente. Credo che scrivere aiuti molto in questo senso

Prisma ha detto...

Sono assolutamente d'accordo con te! Vai avanti così, che vai benissimo!