venerdì, aprile 09, 2010

Aprile

La mamma che stira e suda, poggia i vestiti sulla sedia in camera mia, impilati, duri di amido al tepore di vapore: la Prisci ci si sdraia immantinente e immantinenti fioccano gli improperi della mamma in umido.
Insegno da un po' letteratura inglese (con occasionali, brevi ma intense immersioni nella grammatica ogniqualvolta che "MA QUANTE VOLTE TE L'HO DETTO PORC...ripassiamo!") a una ragazzina molto sveglia, con gli occhi da cartone giapponese, la prima allieva che ho che vivaddio mi ascolti quando parlo. Ieri abbiamo ripassato la letteratura e il periodo storico vittoriani.
Questa ragazzina abita di fronte a un grande parco, un amore di ecosistema che io onoro con il roboante parcheggiare del mio motore ibrido a pochi centimetri dalle tane di talpa.
Ieri c'erano pochi posti rimasti: con i primi caldi, i primi soli, i primi soffioni, orde di adolescenti in fuga strategica si riversano nel verde posteggiando minismart a zig zag per giocare a frisbee, fottendomi il parcheggio. Un tripudio di torsi nudi, fogli rosa e infradito.
Non sono ancora pronta a tutto questo.
Ad abdicare ai fidi stivaloni di pelo in favore delle Birkenstock aperte, ad appendere alle grucce le camicie senza maniche (acquisizione recente: poco fa le mie braccione pallide non le esponevo tanto volentieri; adesso, beata maturità, semplicemente me ne frego), girare tutto il giorno in estasi e sentirmi in colpa perché, con questo bel tempo, non ho ancora fatto una gita e preferisco guardare "The Big Bang Theory" sul portatile abbarbicata a Marco come fosse febbraio.
Il primo passo verso l'accettazione della bella stagione, che sembra non sia obbligatoria ma in fondo in fondo lo è, un po' come i barboni che non è che stiano lì perché poverini lo vogliano, che se volessero, potrebbero anche trovarsi un lavoro, per dire, che per carità non è mica obbligatorio uniformarsi alle convenzioni sociali, però anche sì; è alzarmi dalla sedia ergonomica, lavarmi, vestirmi e andare a trovare Annalisa che abita dall'altro capo della città; portarle forse una torta che non ho avuto tempo di preparare con le mie manine sante, comprata in una di quelle pasticcerie fatte apposta per non tornarci più.
Tre euro un croissant, quattro una granita, per dire, che per carità non è mica obbligatorio comprarsi una granita, però se lo fai, guarda un po', ti tocca espiare il piacere sborsando un capitale per un bicchiere di ghiaccio e zucchero.
Ah, signora mia.
L'altro passo è quello di aprire tutte le finestre di casa, ma non una fessura, uno spiraglio per scherzo, no no, proprio spalancarle, lasciare uscire il gatto sul davanzale e gli acari su altri materassi, lasciare entrare l'aria promettente di Aprile e i tentativi di nota del flauto della vicina.
Tutto questo mutare stagione mi estenua il cervello e i sensi, l'aspirapolvere e l'organizzazione organica generale, alla quale non so dare un preciso comando di rigenerazione, alla quale non so dire "ora funziona, trasformati assieme al cosmo", e non riesco ad allinearmi.


2 commenti:

Thirtysomething ha detto...

...allora non è un morbo solitario il mio...grazie per questo post: mi sento un po' meno sola. Ti regalo in cambio un bazinga ;)

Marta ha detto...

grazie! Un bazinga è inestimabile!