giovedì, ottobre 22, 2009

Diario di una Praga (Parte II)

Venerdì 9

Dopo esserci scorticati piedi e gambe, decidiamo sia giunto il momento di scorticare anche il portafogli, rilassarci, metterci in panciolle e fare quel cacchio che ci pare. Cosa credi, soldato, che sia una fottuta guerra? E' una vacanza, perdio!
La mattina saliamo al castello per vedere la mostra di Capek: tutto un ritratti lanosi, futuricubismo, suggestioni della Cecoslovacchia tra le guerre. Il posto, la vecchia scuola di equit
azione, è magnifico, il caffé che sorseggiamo al cospetto della cattedrale di S. Vito ancora di più (e molto meno caro di quello di Starbucks). 
Mentre ci allontaniamo per visitare meglio il comprensorio reale, una tipetta allegra ci piazza davanti al naso un registratore, e ci chiede un parere sulla mostra per la radio ceca.
Uau. Un'anticipazione di quello che dovrò affrontare da lì a due settimane...
In un inglese cucito con lo spago, raffazzono un paio d'impressioni e me ne vado contenta di aver fatto anche 'stavolta la parte della saltimbanco.
Marco annuisce e saggiamente tace.
Finché non gli balza per la mente l'idea di visitare DAVVERO il comprensorio reale. Io pensavo fosse una battuta, un modo di dire. Come: "dopo magari andiamo al cinema", ma poi piove e a casa si sta così bene che alla fine non si va.
No.
Qui, ci si va sul serio.
Biglietti che costano un occhio (ma noi riusciamo a strappare un super sconto togliendo a Marco sei anni d'età e trasformandolo da operatore call center/bassista a studente universitario fuori corso), e ausilio di un'enorme audioguida a guisa di mazza medievale, da scarrozzare comodamente lungo i 3 km del percorso.
E si va!
Cattedrale di S. Vito (magnifica. Peccato il temporaneo imbottigliamento tra qualche decina di culi teutonici impegnati a rimirare gli splendori asburgici), 
Castello, Vicolo d'Oro, torre Diaborka (prigione medievale dall'evocativo nome), corsetta veloce per restituire in tempo il mazzafrusto uditivo e via lungo la Nerudova, a osservare preziosi
 manufatti di artigianato turistico e rifocillarci dove già ci rifocillammo, memori dei piatti strabordanti a prezzi abbottonati.
Verso sera, comunque schienati, ripariamo all'hotel, ove ci accoglieranno le calde coltri a tre stelle e un paio di panini freddi all'insalata russa e salame sovietico, acquistati in un Potravyny (alimentari) dall'aria appena meno equivoca del bowling cinese di quartiere, ma giusto appena.


Sabato 10

Scade il biglietto della metro ma non il proposito di prendersela comoda ("non è mica una fottuta guerra" eccetera).
La vacanza è quasi alla fine. Spiace.
Per tenerci stretti gli ultimi lembi di Praga, visitiamo la mostra di Mucha. 
Tutto, all'ingresso, sembra urlare "Vi Frego!": nello stesso stabile, proprio ai piedi della cattedrale di Tyn ("dannate guglie" eccetera), una mostra di Dalì permanente con improbabili busti di Andy Warhol in cartongesso, a 10 metri un ristorante per turisti, cartelli che promettono souvenir kitsch a prezzi Belle Epoque. 
Invece, l'esposizione al secondo piano è sobria e interessante, ben studiata, e i lavori di Mucha lussureggianti.
Dopodiché, signori, è tempo di togliere il freno a mano alla bestia affamata di shopping che alberga in noi.
Nel mercatino di via Havelska, già teatro di un pranzo mai digerito, compriamo giocattoli di legno, segnalibri, quadri, un golem-pezzo d'arte e ricordini di vario e dubbio gusto.
Pranziamo in un bel ristorante a base di Schnitzel e cavolo acido (per dessert, una deliziosa Fiesta vecchia con mezza pesca sciroppata e una sburratina di panna baveuse).
Gironzoliamo fino a via Jilskà e in uno splendido negozietto compriamo due tazze favolose e un magnete per il frigo.
Bona.
Torniamo in albergo a riposare, e a riprenderci dal freddo che oggi attanagliava, forse un modo della città di tenere stretti noi, che ce ne stiamo per andare.
In albergo, cena a base di Potravyny più equivoco di quello della sera scorsa (il pane non aveva nulla da invidiare in gusto e  consistenza ai busti di Warhol nel museo Dalì).

Domenica 11

Una bella mattinata sotto l'acqua, al riparo dei portici di Mala Strana.
Visto il tempo, rimandiamo la visita alla collina di Petrin alla prossima vacanza a Praga; prendiamo l'ennesimo caffé da Starbucks (ancora due frappuccini e ne diventeremo azionari), e ci incamminiamo verso la piazza di Malta, location ampiamente utilizzata da Milos Forman per il suo "Amadeus".
Piove di brutto.
Poco lontano c'è il museo della music
a ("No, Choppa, questo non è il museo della musica! E' il museo Hudby". "Ah. E cosa vuol dire Hudby?" "Uh eh...della...musica").
Ci infiliamo dentro e veniamo travolti dall'impressionante assenza di visitatori e presenza di strumenti antichi (Marco viene travolto dalla presenza di un prototipo di sintetizzatore, che lo terrà incollato alla sua teca per circa tre quarti d'ora. No, non è facile per niente).
Usciamo ringalluzziti e ci facciamo l'ennesimo giro per Mala Strana. 
Ponte Carlo (addio, Ponte Carlo, mi mancherai come sempre) e pranzo a Stare Mesto a base di ginocchio di porco, che , come un parente sgradito, si rifarà vivo a scadenze regolari fino al mattino dopo.
Cena in albergo a base di rutti al maiale e panino raccattato in giro. Ai peperoni. 
Quando ci si vuol fare del male, che almeno ce la si metta tutta.
(Nota Bene: prima di dormire, ci spariamo due ore di "Ceko Slovenska Super Star", versione cecoslovacca di American Idol, o più probabilmente un modo per cominciare ad apprezzare lo stridio delle unghie sulla lavagna).

Lunedì 12

Ultimo giorno.
Il tempo volge al diluvio.  Cerchiamo di corrompere il recezionista panzone per poter stare qualche ora in più in albergo. Ne, alle 12 sloggiare.
Poco male, vorrà dire che un'altra passeggiatina corroborante a meno quattro non ce la negherà nessuno. Dannato recezionista panzone. 

E comunque.

Che bella vacanza, che bella Praga, i suoi scorci, la sua intimità, e che belli noi, al nostro secondo viaggio come se fosse il primo, come se fosse l'unico.
Sei anni fa, quando ci venni la prima volta, la città si stava risvegliando all'alba della consumistica democrazia, e ora sguazza in panciolle nella siesta dell'avvenuta trasformazione da Capitale dignitosa e abbottonata a Metropoli mcdonaldiana senza ritegno. 
Sono contenta di averla vista ancora convalescente, con le sue campagne spoglie, i tram radi e lenti, le facce scorbutiche, e di vederla ora così, quasi uguale a mille altre nell'efficienza dei servizi e nella ricchezza delle vetrine, e unica, diversa da tutte, nell'aria gravida di ricordi e ferite ancora sporche di mercurocromo.



2 commenti:

SunOfYork ha detto...

Io a Praga ci sono andata durante un faticosissimo interrail. Ricordo soprattutto un ottimo gulash consumato nel ghetto ebraico e il fatto che la birra costasse meno dell'acqua.

Si vede che eravamo affamati e senza soldi in quella vacanza, e quello fu il nostro unico pasto caldo per un mese in giro per l'est europa :)

Sun

Choppa ha detto...

Aaaaaaaaaah la birra. Aaaaaaaah il goulash. Aaaah il ghetto ebraico. Ah.
Ci torno.